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Recensione di Giorgio Barberi Squarotti

Il 29 aprile del 2017 se n’è andato Giorgio Barberi Squarotti,grande critico letterario,poeta,docente universitario.Altri scriveranno della sua immensa attività di studioso di Dante e Marino,di Tasso e di Petrarca,di Ariosto e Boccaccio,sino alle raffinate interpretazioni della poesia pascoliana,alle analisi dell’opera di Pavese, Sbarbaro e Montale.Era anche un intenso e significativo poeta:ricordiamo fra le sue raccolte ‘Le langhe e i sogni’,’Le foglie di Sibilla’,’L’azzurro della speranza’ e il recente delizioso volumetto pubblicato dalle edizioni Eva di Venafro.Ricordiamo che la casa editrice Genesi di Torino sta procedendo alla stampa della opera omnia(poetica) di Giorgio Barberi Squarotti.

A me resta da ricordare la straordinaria gentilezza dell’uomo,la disponibilità e leggere testi di qualsiasi poeta e a vergarne sia pure due righe di commento.Credo che migliaia di poeti debbano essergli grati.Barberi Squarotti ha infranto l’immagine del critico letterario chiuso in se stesso e nel suo mondo accademico,impegnato esclusivamente in studi su autori classici,algido verso i poeti militanti dei nostri anni.Ho un magnifico ricordo di Giorgio,di quando l’ho incrociato ad un convegno a Ferrara e della vasta corrispondenza che è sempre intercorsa fra noi.Gli devo essere particolarmente grato,sia per avermi citato nell’imponente ‘Enciclopedia della civiltà letteraria in Italia’(Utet)come direttore della rivista ‘La Vallisa’,sia per aver scritto un breve saggio sulla mia poesia,nel lontano maggio del 1977,apparso sui ‘Quaderni del Gruppo Interventi Culturali’.

E’ trascorso molto tempo,ma quarant’anni dopo in omaggio a lui e per una forma (ammetto) di invincibile narcisismo-ripubblico quel suo illuminante intervento.
Grazie,Giorgio.

La poesia di Daniele Giancane tra apocalissi e profezia

L’avanguardia che opera come suggestione e spunto nella costituzione del discorso poetico di Daniele Giancane non è quella a noi più vicina,operante negli anni settanta e oltre,ma una più remota presenza ‘storica’,addirittura quasi ‘classica’ tra scapigliatura e futurismo.Soprattutto nei testi più ampi e distesi di Giancane,come Il monologo ininterrotto,La città perduta,Profezia n.1,che rappresentano,poi,la maggior parte e più consistente del suo lavoro poetico,si avverte la ricerca di una struttura di eloquenza e di immagini grandiosamente architettata,a vaste volute,sorretta da una visionarietà fra il cosmico e l’apocalittico e da un profetismo violento,esasperato,a cui danno particolare eccitazione le esclamazioni che si susseguono portando la poesia a una perentorietà di minaccia o di ammonizione che è sempre un poco sopra le righe,e finisce per confinare temi e occasioni poetiche in uno stadio meta letterario,là dove la solennità e la sentenziosità vengono a occupare il primo piano,come modalità d’espressione dell’esempio di un mondo destinato al fuoco e alla dissoluzione.Il fatto è che Giancane ha una fiducia ancora molto salda sul messaggio che intende affidare al’esposizione delle sue visioni apocalittiche(sia che di vera e propria apocalissi si tratti,come nella Profezia n.1,sia che,invece,si tratti di una trasfigurazione nella degradazione e nell’orrore di situazioni tipiche di vita contemporanea come ne Il monologo ininterrotto e ne La città perduta,dove la perdita di dignità,di significato,di coscienza,di senso morale,della vita nell’ambito della società dei consumi vale a indicare l’inevitabilità della distruzione,la prossimità della fiammeggiante chiamata in giudizio e condanna).
Cioè,il punto su cui si fonda il suo discorso è il significante:onde l’elaborazione del linguaggio poetico è tutta in funzione non soltanto del chiarimento e dell’illustrazione del messaggio,ma anche del convincimento e dell’avvicnimento del lettore,proprio perché lo scopo della poesia è,per Giancane,l’ammonizione e la meditazione su un mondo che è giunto all’estremo grado della decadenza e della degradazione.
Si giustifica in questa prospettiva l’insistito e grandioso impiego di mezzi espressivi da parte di Giancane:le esclamazioni,ma anche le citazioni letterarie,le vere e proprie figurazioni apocalittiche(i quattro cavalieri,gli animali repellenti,le invasioni delle acque e del fuoco,ecc.),la struttura della visioner come immagine anticipata del giudizio inevitabile(in Profezia n.1 soprattutto)le forme stesse del giudizio,che colpiscono i colpevoli dei delitti tipici del mondo contemporaneo,un tono complessivo da salmo o,comunque,da testo sacro,anche per la ricerca di una solennità del verso e del periodo che arieggia il versetto biblico,infine il comporsi delle visioni in un movimento teatrale,da sacra rappresentazione(che espressamente si manifesta ne Il monologo ininterrotto-significativo sin dal titolo-condotto in una vera e propria forma drammatica con l’alternarsi di due voci).
Anche quando,come ne Il monologo ininterrotto e ne La città perduta,Giancane si rivolge direttamente a situazioni,momenti,apetti di vita,azioni concretamente incardinate nella realtà di questi anni,e allora il linguaggio della conversazione o quello della pubblicità ovvero quello della cronaca e del costume vengono convogliati come strumento del messaggio,la ragione del suo discorso,l’apocalitticità prevale sopra la descrizione,il furore ammonitorio sull’intenzione documentaria o realistica,e l’andamento poetico conserva l’uguale furia predicatoria e profetica.

Nell’ambito delle attuali esperienze e ricerche di poesia quella di Daniele Giancane appare,quindi,abbastanza singolare,proprio per il privilegio del messaggio sugli strumenti linguistici di esposizione del messaggio stesso,e proprio per il carattere non realistico e non ‘attuale’ del messaggio stesso,che(in ultima analisi),pur nei modi dell’ironia e della dissacrazione,finisce ad apparire come dominato da un impulso religioso,le cui motivazioni di ammonizione,esecrazione,condanna apocalittica rendono ragione del di più di eloquenza e dei toni insistitamente alti di questa poesia.

Giorgio Barbieri Squarotti

Pubblicato in Interventi critici